Emergenza in provincia di Trapani. Una crisi idrica che può diventare crisi sociale
La provincia di Trapani è in ginocchio. La crisi idrica non è più un’ipotesi tecnica né un’emergenza “straordinaria”: è il risultato prevedibile di anni di gestione approssimativa, invasi strategici lasciati al limite, reti colabrodo e decisioni rinviate fino all’ultimo minuto. Oggi il conto arriva tutto insieme, e a pagarlo sono i cittadini.

La riunione della cabina di regia regionale sull’emergenza idrica ha certificato un dato semplice e inquietante: in provincia di Trapani l’acqua sta finendo. La diga Garcia, invaso strategico per la Sicilia occidentale, è ormai ridotta ai minimi. I problemi della rete di adduzione e distribuzione, uniti alle difficoltà del gestore sovracomunale, hanno aperto una voragine nell’approvvigionamento idrico di interi comuni.
Trapani chiamata a “salvare” tutti: solidarietà forzata e rischi per il capoluogo
In questo scenario la città di Trapani viene chiamata a svolgere il ruolo di “polmone idrico” della provincia, grazie ai 18 pozzi attivi, inclusi quelli del campo pozzi Bresciana. La cabina di regia regionale ha chiesto un intervento solidaristico: usare le risorse del capoluogo per aiutare le comunità vicine ormai a rischio di restare completamente senz’acqua.
Una richiesta che sul piano umano appare ovvia, ma che nasconde un paradosso politico e gestionale: si chiede solidarietà a una città che, a sua volta, ha già vissuto criticità, razionamenti, disservizi e crisi ricorrenti. Il sindaco Giacomo Tranchida ha chiesto un consiglio comunale straordinario e urgente per spiegare ai cittadini cosa sta succedendo e quali decisioni dovranno essere prese: quanta acqua destinare fuori, quanto trattenere per garantire il minimo vitale alla popolazione trapanese.
Il messaggio è chiaro: la solidarietà è doverosa, ma non può diventare un alibi per coprire i buchi di un sistema idrico regionale che da anni mostra limiti strutturali e gestionali.
DRPC Sicilia in trincea: autobotti, collegamenti tampone e piani d’emergenza
In mezzo a questo cortocircuito tra emergenza e cattiva gestione, il Dipartimento regionale di Protezione Civile (DRPC Sicilia) si ritrova, come spesso accade, a fare il lavoro sporco: intervenire quando tutto il resto ha già fallito.
Nelle ultime ore i servizi provinciali del DRPC si stanno riorganizzando per affrontare la drammatica crisi idrica della provincia trapanese. Sono in corso:
- collegamenti tampone per sfruttare ogni possibile interconnessione di rete;
- servizi sostitutivi tramite autobotti, per garantire l’approvvigionamento minimo di scuole, ospedali, strutture socio-sanitarie, quartieri più vulnerabili e piccoli comuni isolati;
- pianificazione di punti di distribuzione pubblica per l’acqua potabile, qualora i rubinetti restino a secco per periodi prolungati.
La Protezione Civile è costretta a ragionare come in uno scenario di “crisi prolungata”: turnazione delle autobotti, priorità sanitarie, coordinamento con i sindaci tramite i Centri Operativi Comunali, gestione delle ordinanze contingibili e urgenti. Una macchina emergenziale che si muove per evitare il collasso, non per risolvere le cause.
Si arriva persino a ipotizzare l’intercettazione della rete che porta l’acqua a Trapani per ridirigerne una parte verso i comuni più in difficoltà. Una misura estrema, che apre un fronte anche sociale: fino a che punto si può chiedere a una città già in sofferenza di farsi carico delle carenze del sistema?
Diga Garcia e sistema idrico: emergenza annunciata, non imprevista
La diga Garcia non è un piccolo invaso periferico, ma una struttura strategica per la Sicilia occidentale. Eppure negli ultimi anni è diventata il simbolo di una gestione incapace di prevenire la crisi. Il problema non è solo la siccità, ormai strutturale nel Mediterraneo, ma anche:
- una pianificazione irrigua spesso slegata dalle reali capacità di accumulo;
- ritardi cronici su interventi di manutenzione, potenziamento e collegamento ad altre fonti;
- un modello di gestione frammentato in cui responsabilità e competenze si perdono tra enti, gestori, consorzi e livelli istituzionali.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: quando le piogge mancano o sono irregolari, l’invaso non si ricarica a sufficienza; quando arriva il caldo, i consumi esplodono e le falle del sistema diventano voragini.
Parlare oggi di emergenza idrica in provincia di Trapani come se fosse un evento imprevedibile è, di fatto, un modo elegante per non affrontare un punto: questa crisi era annunciata. E non da ieri.
BASTA CON IL SISTEMA CUFFARO! QUESTA LETTERA NON E’ SOLO UNA DENUNCIA
Protezione Civile come ultima barriera: non può essere l’unico “gestore di fatto” della crisi
Il DRPC Sicilia sta facendo quello che deve: garantire la continuità dei servizi essenziali, mettere in sicurezza le fasce più fragili della popolazione, affiancare i Comuni. Ma c’è un rischio politico enorme: trasformare la Protezione Civile in una stampella permanente di un sistema idrico che non funziona.
Autobotti, collegamenti d’emergenza, turnazioni e razionamenti sono soluzioni necessarie quando si è in piena crisi. Diventano però un segnale di fallimento quando diventano routine. Non si può chiedere alla Protezione Civile di coprire all’infinito mancanze di programmazione, investimenti in ritardo, reti mai completate, invasi gestiti al limite.
L’emergenza è per definizione temporanea. Qui, invece, rischia di diventare il modello standard.
Una crisi idrica che può diventare crisi sociale
Quando l’acqua manca, tutto si incrina:
- la serenità delle famiglie, costrette a fare scorte, adattarsi a turnazioni e disservizi;
- il tessuto economico, a partire dall’agricoltura fino al turismo e ai servizi;
- la stessa credibilità delle istituzioni, chiamate oggi a chiedere sacrifici dopo anni di promesse rimandate.
Il rischio non è solo tecnico ma sociale: tensioni tra comuni, malcontento verso le amministrazioni, sfiducia crescente nei confronti di chi gestisce una risorsa fondamentale come l’acqua. La scelta di chiedere a Trapani un “gesto di solidarietà idrica” verso il resto della provincia fotografa perfettamente il paradosso: si chiede ai territori di fare la loro parte, ma il sistema nel suo complesso continua a mostrare gli stessi limiti.
Conclusione: o si cambia modello, o l’emergenza diventerà la normalità
La crisi idrica in provincia di Trapani non è un semplice incidente di percorso: è la prova di stress definitiva per l’intero modello di gestione dell’acqua in Sicilia occidentale. O si avvia rapidamente una revisione radicale – investimenti reali, reti efficienti, invasi gestiti con logica di resilienza climatica, governance chiara e responsabile – oppure la scena delle autobotti in fila, dei rubinetti asciutti e dei consigli comunali straordinari diventerà la regola.
Intanto, sul fronte operativo, è il DRPC Sicilia a tenere la linea del fronte, cercando di garantire un minimo di equità nell’accesso all’acqua. Ma nessuna Protezione Civile può supplire, da sola, a una gestione che ha accettato per troppo tempo di vivere “un’estate alla volta”, invece di costruire un sistema capace di reggere gli inverni di siccità e le estati di caldo estremo.

