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Codice bavaglio: vietato parlare male dell’università sui social network

Nell’era del 2.0 dove si preferisce condividere o twittare in tempo reale un pensiero, un’opinione, una critica o un augurio, piuttosto che dirlo a pieno polmoni a chi si ha di fronte, l’Università di Bologna ha redatto un nuovo codice etico che invita studenti e professori a «evitare di diffondere informazioni, testi o immagini che possono nuocere al prestigio dell’università». Nossìgnori, non stiamo scherzando, l’università detta legge e le nuove regole saranno in vigore dal primo novembre.

Una scelta che ha mandato in fiamme gli studenti che accusano il rettore di «violare la libertà di parola». Una protesta condivisa dai tutti i giovani accademici con il Collettivo universitario autonomo (Cua) che ha esposto uno striscione all’ingresso del rettorato: «Codice etico: codice dell’ipocrisia. A parlare dell’università siano gli studenti».

Il malumore, però, vola anche dall’altra parte della cattedra, qualche docente, infatti, non nasconde il disappunto nei confronti di un articolo che, dicono, «non fermerà i ragazzi dal criticare l’ateneo».

Dal rettorato assicurano che non è nelle loro intenzioni censurare la libertà di parola o pensiero, l’articolo del codice è più un invito a essere responsabili sui social network. Risposta che, ovviamente, non convince il collettivo studentesco, il quale ribadisce la volontà di portare avanti le problematiche e le necessità degli studenti.

Oggi i social network – sapete bene tutti – sono diventati di vitale importanza per gli studenti universitari, non tanto per criticare i mille problemi di ateneo, ma sono per lo più strumenti di confronto, sostegno, ricerca di appunti e molto altro.

E se anche l’Università di Palermo da un giorno all’altro facesse la stessa cosa decidendo di mettere il “bavaglio” ai propri iscritti?

Se gli studenti non potessero più parlare dei loro problemi sui social network?

Pensate, ad esempio, alle pagine ironiche, nate quasi per gioco come “L’esame universitario di merda”, “Il prof universitario di merda” e co. andrebbero chiuse? E se il profilo personale e libero di ogni giovane – badate bene, l-i-b-e-r-o – fosse soggetto ad alt dalle poltrone d’ateneo…quali sarebbero le conseguenze?

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A proposito dell'autore

Nata a Palermo l’8 dicembre del 1990. Da sempre, amante della poesia e dell’arte in ogni sua forma, ho deciso di assecondare la mia passione più grande: la scrittura. Un mondo, quello del giornalismo, spesso difficile e competitivo ma ciò non mi ha fermata. Mi sono laureata in “Giornalismo per uffici stampa” all’Università degli studi di Palermo lo scorso luglio. Nel 2011 arrivano le mie prime collaborazioni giornalistiche e televisive con "Cts, compagnia televisiva siciliana" e, nel novembre 2013, con "Livesicilia".

2 Risposte

  1. Chiara

    Bella merda! Ma ti sei persa un congiuntivo alla fine, peccato.

  2. Studentessa UniPa

    Poi facciamo una petizione per salvare il congiuntivo? Impara a scrivere, è la corretta base di partenza per esprimere un’idea. Diffondiamo anche la cultura che c’è dentro l’università oltre al disprezzo per quello che non va.