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Ricerca, la triste migrazione dei ricercatori dal Sud al Nord

Anche dal punto di vista della mobilità dei ricercatori l’Italia è spaccata in due: da un lato c’è il Nord; dall’altro il Centro – Sud.

Lo testimoniano i dati analizzati dal Roars, l’associazione che dal 2013 si occupa delle politiche inerenti al mondo della ricerca.

Protagonisti sono i punti organico, ovvero lo strumento numerico che misura la capacità da parte delle università italiane di assumere personale. Premesso, infatti, che un punto organico corrisponde a un docente o a 0,5 ricercatori (ovverosia, in un punto può esserci un professore ordinario o due ricercatori), ci si accorge che c’è una differenza netta tra il Sud e il resto del Paese e tra il Centro Sud e il Nord.

In sintesi, tra il 2012 e il 2015, il Meridione ha perso 281 punti organici (“smarrendo” dal 2011 ad oggi 600 ricercatori: qui la fonte) ; il Centro 60; mentre il Settentrione ne ha guadagnati 341.

Tradotto significa che i ricercatori del Sud e del Centro si sono trasferiti negli Atenei del Nord.

Entrando, poi, nel dettaglio delle graduatorie presenti qui, l’Università degli Studi di Palermo si trova, purtroppo, al secondo posto tra quelle con il peggiore deficit al Sud (-51,71), mentre al primo troviamo l’Università Federico II di Napoli con – 70,81. Al Centro, invece, stupisce negativamente la prima posizione de La Sapienza di Roma (-68,92).

E le migliori? Come detto, si trovano al nord della Pianura Padana: Politecnico di Milano (72,50), Università degli Studi di Milano (54,81) e Bologna (53,73).

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