Il 10 aprile scorso ho pubblicato un articolo sulla possibilità di “prendere in giro il tempo” al fine di potere pianificare il proprio studio rispettando tempi tecnici utili per laurearsi. Alla fine dell’articolo però facevo notare che il discorso fatto valeva al fine di “darsi le materie” perché altra cosa era studiare per sé.
Ebbene, a tal proposito, voglio raccontare la mia esperienza universitaria e soprattutto post universitaria. Partiamo dai risultati universitari, che credo siano stati più che soddisfacenti: laurea nei tempi più o meno previsti all’età di 24 anni appena compiuti, votazione finale di 110/110 e materie date con svariati 30 e 30 e lode. Nonostante questo curriculum discreto, vi confesso che il vero studio è iniziato dopo la laurea dato che durante il periodo universitario mi ero concentrato solo ed esclusivamente sul “dare le materie”, non studiando per me, ma per la laurea.
Io ritengo che studiare per la laurea sia certo importante ma credo che ogni studente debba avere la capacità e la forza di volontà per guardare oltre lo studio universitario. Per carità, lo confesso, se non fossi finito dietro una cattedra probabilmente mi sarebbe bastato quello che avevo appreso nel corso di laurea di filosofia, ma il confronto poi con i miei studenti nei licei mi ha posto dinnanzi la necessità di riprendere in mano tutti i miei studi. Attenzione, chiaramente parlo da laureato in filosofia che insegna storia e filosofia nei licei quindi il mio punto di vista è chiaramente soggettivo, ma nonostante questo, io sono convinto che se all’università, oltre allo studio “per le materie”, mi fossi dilettato (perché di questo si trattava) ad approfondire, analizzare più accuratamente determinate cose, sicuramente non me ne sarei pentito.
Fortunatamente di tutto ciò mi sono accorto subito dopo la laurea avendo quindi il tempo di recuperare il tempo “perduto”. Il fine dell’articolo vuole essere duplice: da un lato voglio sottolineare l’importanza dello studio personale che trascenda quello fatto per le materie, dall’altro il fatto di non cullarsi sulla base delle materie date, dei voti presi o addirittura del voto di laurea massimo, in quanto, anche un ottimo curriculum universitario non necessariamente corrisponde ad un ottimo livello di preparazione. Studiare per sé è tutta un’altra storia e davvero la crescita culturale di una persona ne ha giovamento; Aristotele parlava, a proposito della nascita della filosofia del “thaumazestai”, ossia del meravigliarsi ed io credo, prendendo spunto dal termine dello stagirita che “meravigliarsi” dovrebbe essere all’origine del nostro desiderio di conoscenza. Se mi stupisco dinnanzi ciò che mi circonda nasce in me la curiosità della conoscenza e credo che proprio la curiosità, sia la scintilla che fa esplodere in noi il desiderio di conoscere.
Impariamo a stupirci dinnanzi al mondo, impariamo ad incuriosirci dinnanzi ad esso e scopriremo di volere conoscere. Un ultima riflessione però “mi sento in dovere di fare” (e sembra stia diventando un “vizio” come nello scorso articolo) e riguarda la condizione senza cui, tutto quello di cui abbiamo parlato sarebbe in noi irrealizzabile: mi riferisco alla necessità innanzi tutto di conoscere noi stessi, mi riferisco al nostro essere “umili” , al nostro avere consapevolezza che ciò che conosciamo è solo una piccola, piccolissima parte di quello che potremmo conoscere.
Dobbiamo conoscere noi stessi, dobbiamo conoscere i nostri limiti per potere avere la voglia di spingerci oltre. Se non assumiamo quest’atteggiamento penseremo già di conoscere e non saremo stimolati a spingerci oltre, ci illuderemo che le materie che abbiamo studiato siano il completamento del tutto, non cogliendo che invece sono solo l’inizio di un percorso molto più lungo e complesso di quanto non possa essere l’università. Conoscere noi stessi per conoscere a 360°… tema interessante vero? Come porci nei confronti di noi stessi? Come rapportarci col mondo che ci circonda? Beh, questo potrebbe essere un ottimo spunto da approfondire in un prossimo venturo articolo.
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