La febbre emorragica da virus Ebola rappresenta una delle numerose possibili cause di Febbri emorragiche virali che possono colpire l’uomo e i primati non umani, con esito spesso fatale.
Nel loro insieme le Febbri Emorragiche Virali (FEV) sono gravi malattie infettive acute i cui sintomi patognomo-nici sono costituiti da febbre elevata e da manifestazioni emorragiche cutanee e viscerali.
I principali agenti di FEV e la loro distribuzione geografica sono riportati nella tabella seguente:
Pertanto la febbre emorragica di Ebola è causata dall’infezione con un Filovirus del genere Ebola dal nome del fiume Ebola, sito nella Repubblica Democratica del Congo, nei pressi del quale il virus fu per la prima volta isolato nel 1976.
Il virus Ebola non è un virus umano ma un virus che si è adattato all’ospite umano. Per quanto l’ospite serbatoio naturale del virus sia a tutt’oggi sconosciuto, sulla base delle evidenze disponibili e della similarità con altri virus, si ritiene che il serbatoio naturale sia animale e poiché, in natura, generalmente i virus non causano malattia letale nell’ospite naturale (quello cioè che gli permette di perpetuarsi) è verosimile che l’animale ospite primordiale possa essere individuato nei pipistrelli africani, nei quali e il virus Ebola è stato isolato ma non determina patologie conosciute, e che da questi possa essere stato trasmesso ai primati (macachi, gorilla, scimpanzé), nei quali si è adattato, producendo una sintomatologia simile a quella umana, e dai quali ha effettuato il successivo “salto di specie” adattandosi all’ospite umano.
La sintomatologia da Ebola è soprattutto nelle prime fasi di infezione abbastanza aspecifica, e per questo difficilmente individuabile come tale, essendo caratterizzata da :
Il periodo di incubazione conosciuto, durante il quale compaiono i primi sintomi, è compreso tra 2 e 21 giorni dopo l’esposizione con una media tra 8 e 10 giorni.
Poiché il “reservoir” naturale del virus Ebola non è ancora stato dimostrato, non è noto come il primo evento di trasmissione all’ospite umano si sia potuto verificare con esattezza; tuttavia si ritiene che il primo paziente sia stato infettato tramite contatto con un animale infetto.
La trasmissione dell’infezione da uomo a uomo può avvenire in vari modi ma sempre per contatto diretto:
I gruppi di popolazione ad alto rischio sono pertanto:
Durante un epidemia di Ebola, il contagio può quindi diffondersi rapidamente nei setting assistenziali in cui viene meno l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuali (maschere, guanti, occhiali) da parte del personale di assistenza o vi è carenza di materiale sanitario monouso sterile (aghi, siringhe, cateteri ecc) e/o di appropriate pratiche di sterilizzazione.
La diagnosi di Ebola in un soggetto nei primi giorni di malattia non è facile a causa della aspecificità dei sintomi. Pertanto il sospetto diagnostico deve essere inquadrato nella eventuale provenienza del soggetto da aree endemiche e/o eventuale contatto nei giorni precedenti con soggetti provenienti da tali aree.
In caso di sospetto diagnostico è necessario che il personale di assistenza sia istruito alla gestione del paziente, questo sia tenuto in stretto isolamento, e la Sanità Pubblica locale sia allertata tramite notifica per la ricerca degli eventuali ulteriori contatti del paziente.
I campioni biologici prelevati per gli esami diagnostici vanno trattati con estrema cautela e manipolati soltanto in laboratori di massima sicurezza (BSL IV) che in Italia sono presenti presso l’Ospedale Spallanzani di Roma e l’ospedale L. Sacco di Milano.
I test diagnostici di laboratorio si basano sulla classica ricerca di anticorpi specifici (IgM e IgG) tramite tecnica immunoenzimatica (ELISA); sulla ricerca di sequenze genetiche specifiche del virus (Polymerase chain reaction PCR); e sull’isolamento virale in colture cellulari.
Non esistono a tutt’oggi vaccini o farmaci specifici anti Ebola; il trattamento è quindi sintomatico e basato essenzialmente su terapia di supporto consistente nel mantenimento dell’equilibrio idro-elettrolitico , nel controllo pressorio e dell’O2 ematico e sul trattamento di eventuali infezioni intercorrenti.
I trattamenti sperimentali a base di anticorpi monoclonali specifici si sono dimostrati di una certa efficacia ma sono stati testati finora solo in animali e non sull’uomo. Il recente trattamento ZMAPP che ha avuto efficacia nella guarigione dei due operatori sanitari missionari americani è costituito da tre anticorpi monoclonali, proteine che si legano alle cellule infette favorendo la reazione del sistema immunitario.
Perché è altamente improbabile che Ebola possa generare casi di malattia in Italia
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