Scrivo in questo neonato blog al quale auguro tanta fortuna, un po’ per prendermi beffa della mia latitante voglia di studiare, un po’ per dare alla stessa una giustificazione valida una volta tanto. Sono sempre stata una studentessa di “serie B” , fantasia ed estro a vendere, ma la natura mi volle bionda proprio tanto bionda. Attualmente studio a Unipa per specializzarmi in Comunicazione pubblica d’impresa e pubblicità. La mia latitante voglia di studiare ha una motivazione ben precisa; infatti nei tempi in cui “c’è crisi” io mi faccio assalire puntualmente dalla voglia di abbandonare tutto quanto. Vorrete dirmi: «Sì ma la crisi ormai c’è sempre». Vi risponderei: «Io la crisi la sento quando ne parlano di più i telegiornali». Sì, perché quando i tg parlano di “serialmaniaci” io non ci penso più e il pensiero della crisi viene sostituito da quello di comprare uno spray antiaggressione al peperoncino su Amazon.com.
Questa crisi da studente me ne ricorda un’altra più antica che, come ogni episodio della mia vita, stava per trasformarsi in una tragicommedia moderna, se solo non mi fosse venuto in mente di chiedere celatamente aiuto a un professore di Unipa. Allora ero ancora a metà triennio e i tg parlavano ogni santo momento di crisi, io cercavo di mettere la sordina a quelle voci, ma proprio non ci riuscivo. Troppe domande mi facevo e sentivo solo una vocina che mi diceva: «Piera, lassa perdiri, ‘unn’è cosa pi ttia!». Ero quasi lì e lì per abbandonare tutto, ma non prima di fare un ultimo tentativo…
Fin dal primo esame, l’università mi sembrava una cosa per la quale ero troppo bionda, il libro di Semiotica mi pareva arabo; lo aprivo e lo richiudevo esausta mille volte al giorno. Finché mi sono detta: «O la va o la spacca. Se mi rimandano al primo appello, mi ritiro!». La sorte volle che quell’esame andò alla stragrande e così, scongiurata la tragicommedia del “Io mi ritiro dall’università, ancor prima di cominciare” decisi di continuare. Nei tempi di crisi, durante il triennio, mi sono sempre detta: «Ma quella prima volta non potevo essere rimandata?». Va da sé che arrivata quella prima grande crisi, di cui vi parlavo, prima di chiudere baracche e burattini mi sono detta: «Aspetta, Piera, vediamo cosa ne pensa il responsabile di tutto». Così inviai una mail abbastanza accorata all’incriminato prof del primo esame. Pensavo che lui neanche si ricordasse di me, giacché prima di approdare all’Uni molti buontemponi mi dicevano che per gli insegnanti universitari non sarei stata che un numero. Fatto sta che non solo il prof. mi rispose puntuale (cosa già strana), ma si ricordò con mio stupore delle mie domande a lezione e cosa ancora più stupefacente mi diede una risposta che mai più mi abbandonò. In breve, la mia mail chideva al prof: «Perché continuare a studiare quando ti fanno credere che nel tuo futuro non farà la differenza?». Lui mi rispose esattamente così: «Lo studio serve per se stessi, per capire qualcosa del mondo che ci circonda, per imparare a svolgere un’attività complessa, perché il punto è che quello che vivi ha più sapore se capisci come funziona». Questo bastò per riaccendere in me l’entusiasmo e per non sentirmi mai più in crisi.
Quello che voglio dire è che non so se questo tipo di rapporto studenti-insegnanti sia una specialità della nostra Unipa, però in episodi così ci vedo qualcosa di genuino e di stra-ordinario, questo mi sembrava il luogo giusto in cui raccontarlo. Mi piacerebbe se quanti si stanno affacciando adesso a Unipa leggendo questo articolo imparassero a contare anche sugli insegnanti. Per quel che mi riguarda la possibilità di instaurare un rapporto speciale studenti-insegnanti, caratterizzato talvolta da necessarie distanze e talaltra da altrettanto necessarie non-distanze, ha rappresentato uno dei motivi che mi ha portata a scegliere di proseguire gli studi frequentando ancora Unipa. Detto ciò, torno sui libri e se vi state chiedendo se scriverò di nuovo al prof. per superare la crisi, la risposta è: «No, perché non lo so se me la sento di fare un’altra tesi in Semiotica, sono pur sempre bionda».
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