L’università deve schierarsi? Il caso Gaza divide Palermo
Università Degli Studi di Palermo - Fonte:Archivio interno
L’Università di Palermo si ritrova al centro di una polemica che va ben oltre i confini accademici, il caso Gaza divide.

Il Dipartimento di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali (Dems) ha approvato una mozione di sostegno alla Global Sumud Flotilla, iniziativa internazionale che intende portare solidarietà e aiuti simbolici a Gaza. Una scelta che ha acceso entusiasmi, ma anche reazioni durissime.
Tra impegno etico e accuse di propaganda
Da un lato, docenti e studenti rivendicano un ruolo attivo dell’università come presidio etico e civile. «Ogni giorno vediamo violazioni sistematiche del diritto internazionale – ha dichiarato il direttore del Dems, Costantino Visconti – e se l’accademia tace, tradisce la sua missione». Una posizione netta, che trasforma l’università non in spettatrice, ma in parte attiva del dibattito pubblico.
Dall’altro, però, non mancano le accuse di strumentalizzazione politica. La deputata di Fratelli d’Italia Carolina Varchi ha parlato di «atteggiamento grave», sostenendo che l’università rischia di diventare megafono ideologico. «Un’istituzione pubblica non può farsi propaganda», ha scritto, chiedendo un intervento diretto del rettore.
Il nodo: impegno civile o propaganda politica?
Ed è qui che si apre il nodo più scomodo: qual è il limite tra impegno civile e propaganda politica dentro l’università?
Se un ateneo prende posizione su una questione internazionale così divisiva, sta difendendo principi universali o sta entrando – volente o nolente – nello stesso terreno della politica di parte?
La mozione del Dems, pur nata dal desiderio di dare voce alla giustizia e ai diritti umani, rischia di cristallizzare l’ateneo in una contrapposizione sterile: da una parte chi vede l’università come “coscienza critica” della società, dall’altra chi la vuole neutrale, al riparo da ogni presa di posizione pubblica.
Neutralità o scelta politica mascherata?
Ma davvero la neutralità esiste? O non è, forse, già una forma di scelta politica?
E ancora: è giusto che un dipartimento parli a nome dell’intera comunità universitaria, quando le sensibilità su un tema così delicato sono inevitabilmente diverse?
La sensazione è che, più che aprire un confronto, la vicenda stia rischiando di schiacciare l’università in uno schema binario: o con Gaza o contro Gaza, o per l’impegno civile o per il silenzio “istituzionale”. Un impoverimento del dibattito che dovrebbe invece essere ricco, plurale e capace di tenere insieme prospettive diverse.
Il rischio di un impoverimento del dibattito
Il rischio? Che l’università perda la sua funzione di spazio libero e critico per trasformarsi in una cassa di risonanza delle stesse contrapposizioni che già dividono la politica nazionale.
Forse la vera domanda da porci non è “fuori o dentro l’ideologia da Unipa”, come ha scritto la deputata Varchi. Forse la domanda è un’altra: siamo ancora capaci di discutere di temi complessi senza ridurli a slogan contrapposti?

