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Perché bisogna parlare di Patrick Zaky

Chi è Patrick ZakyPatrick è un ricercatore e un attivista egiziano ventisettenne che frequentava un master all’università di Bologna. La storia a cui è legato il suo nome ha avuto inizio il 7 febbraio scorso quando era partito per andare in Egitto a trascorrere un periodo di vacanza con la sua famiglia ma improvvisamente arrivato all’aeroporto del Cairo non si sa più nulla di lui per 24 ore. Ricomparirà solamente il giorno seguente e sarà accusato di “istigazione al rovesciamento del governo e della Costituzione“. Patrick inoltre secondo quando riferito dall’Eipr, l’ong con il quale collabora: ”E’ stato picchiato, sottoposto a elettroshock, minacciato e interrogato in merito al suo lavoro e al suo attivismo.” Da quel 7 febbraio a forza di rinvii non è più uscito dal carcere. Inutile precisare che non ha commesso alcun reato, pensate un po’ che la pagina Facebook attraverso cui Patrick avrebbe “istigato al rovesciamento del governo” in realtà non appartiene neanche a lui. Molti osservatori internazionali sono dell’opinione che quest’accusa venga utilizzata contro gli attivisti egiziani per metterli a tacere, per intentare processi contro di loro e farli marcire in carcere.

La situazione in Egitto

Dal settembre del 2019 in Egitto è in atto la più grande campagna repressiva dalla salita al potere del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. Si calcola che siano finite dietro le sbarre oltre 2300 persone e tra questi vi sono all’incirca 111 minorenni. L’accusa è la stessa di Patrick, ma chi sono queste persone? In genere sono giornalisti, avvocati, attivisti: insomma persone comuni che decidono in prima persona di impegnarsi per denunciare l’operato di al-Sisi, per provare a cambiare il loro Paese. Persone che però non possono permettersi come in Italia, di pubblicare post sulla loro bacheca Facebook contro il governo perché vengono individuati e in qualche modo messi dietro le sbarre. Alcuni osservatori internazionali denunciando che sono pochi coloro che riescono a uscire dalle carceri, mentre molti sono gli attivisti di cui non si hanno più notizia e che si pensa siano deceduti. Il governo del Cairo durante la pandemia ha inoltre ristretto ulteriormente le libertà fondamentali, rendendo nel contempo più difficile ogni critica nei confronti del modo in cui ha gestito l’emergenza sanitaria.

Perché è importante non smettere di parlare di Patrick

Da qui possiamo capire benissimo l’importanza di non spegnere l’attenzione su Patrick Zaky, l’importanza di continuare a parlarne. Cresce la preoccupazione per il destino di questi che potremmo definire “prigionieri del regime di Al-Sisi” e ben 84 membri del Parlamento europeo, 138 membri di parlamenti nazionali europei e 56 membri delle due camere del Congresso Usa hanno sollecitato il presidente al-Sisi a porre fine all’ingiusto imprigionamento di difensori dei diritti umani, giornalisti, avvocati e attivisti politici finiti in carcere solo per aver esercitato i loro diritti fondamentali.
Alcuni dei prigionieri menzionati dai parlamentari nelle loro lettere pubbliche come Ramy Shaath e Zyad el-Elaimy, sono detenuti senza processo da oltre un anno solo a causa del loro pacifico attivismo politico. Avvocati come Mohamed al-Baqer e Mahienour al-Massry pagano invece per aver difeso vittime di sparizione forzata e di detenzione arbitraria. Le lettere riportano i nomi anche di Esraa Abdel Fattah, Solafa Magdy, Hossam al-Sayyad e Mahmoud Hussein, giornalisti imprigionati per i contenuti critici dei loro articoli o delle loro opinioni, e includono anche i ricercatori sui diritti umani Patrick Zaky e Ibrahim Ezz el-Din, che si trovano in detenzione preventiva a dimostrazione della politica di “tolleranza zero” nei confronti dell’attivismo per i diritti umani.

La posizione del governo italiano

L’Italia potrebbe intervenire nella questione concedendo a Patrick la cittadinanza italiana ma purtroppo nonostante i numerosi appelli non si è mosso ancora nulla. Sta a noi continuare a parlare di Zaky, sta a noi fare la differenza, sta a noi non dimenticare Patrick e chiedere giorno dopo giorno al nostro governo una posizione netta. Per una volta invece che agli affari, pensiamo alla vita di un giovane ricercatore che studiava all’università di Bologna. Per me Patrick è già italiano e per voi?

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