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Prestiti per l’università come in Usa, ma c’è rischio default

Laurea triennale, specializzazione, dottorato di ricerca e ancora corsi di aggiornamento e master sono investimenti sempre più onerosi. La cultura, si sa, richiede ingenti sacrifici in termini di tempo e mole di lavoro ma anche il portafogli ne piange le conseguenze. Stando agli ultimi dati Adiconsum (Associazione difesa consumatori e ambiente), mantenersi o, più spesso, farsi mantenere dai genitori all’università costa quanto un mutuo: almeno sette mila euro l’anno per i fuori sede, nell’ipotesi più economica e a patto di condividere la stanza con altri studenti.

A causa dell’ingente crisi economica e della sensibile riduzione del potere d’acquisto non tutte le famiglie possono mettere tranquillamente a budget cifre simili per un buon numero di anni. E l’erogazione di borse di studio a livello nazionale si fa sempre più esigua di anno in anno. Sempre più giovani in tutta Europa pertanto, seguendo il modello Usa, ricorrono a prestiti per finanziare i propri studi.

In America, dove il costo della cultura è di gran lunga più elevato, tale pratica è molto diffusa. Le università pubbliche, finanziate in parte dal governo regionale, sono di norma accessibili soltanto a residenti dello Stato in questione, con un costo che mediamente varia tra i 15.000 e i 25.000 dollari annui. Nel caso delle università private, poi, i prezzi raddoppiano: dai 35.000 a 55.000 dollari annui. Per una laurea oltre oceano si può arrivare a spendere fino a 220.000 dollari, includendo spesso il vitto e l’alloggio. Cifre spaventose rispetto alla realtà italiana, dove una laurea alla Bocconi intorno ai 10.000 euro annui, se non si fruisce di borse di studio, è considerata cara.

È sempre più vicina, però, l’onta di una falla colossale nel modello americano: la sezione di New York della Federal Reserve ha, infatti, recentemente stimato in mille miliardi la mole di questo debito, rispetto al quale sta anche aumentando il tasso di insolvenza. I mutui degli studenti hanno alcune caratteristiche in comune.

Ma vediamo i rischi di questo sistema da vicino. La restituzione del debito contratto comincia solo dopo sei mesi dalla fine degli studi, il che non è stato un problema fino a quando la maggior parte dei laureati riusciva a trovare un lavoro, ben pagato, entro tre mesi dalla fine del percorso universitario. Al momento, però, i tassi di disoccupazione, sia europei che americani, sono alle stelle e, anche per i neolaureati, è sempre più difficile trovare un posto fisso che permetta di pagare le rate del mutuo, un affitto e garantire a se stessi e alle proprie famiglie uno stile di vita dignitoso. Precariato, carenza cronica di lavoro e pochissimo capitale con cui fronteggiare le spese quotidiane, dunque, sono alla base del crac.

In Italia il sistema è molto diverso, anche perché l’onere degli studi è molto ridotto rispetto agli Stati Uniti. Piuttosto che vere e proprie erogazioni di liquidità sono delle aperture di credito contenute nei conti correnti a fare da padrone. È l’università, inoltre, a fare da garante, in base a un accordo con gli istituti di credito e con gli studenti stessi, che devono ad esempio mantenere una certa media. Tuttavia Federconsumatori ha calcolato che l’onere per gli studi ammonti a circa nove mila euro pro capite all’anno, cifra che per molti oggi è proibitiva e può richiedere l’intervento delle banche.

Anche in questo caso, dunque, c’è il rischio che il debito accumulato sia troppo pesante da fronteggiare. Un vero e proprio salasso, che porge un interrogativo spontaneo: quanto conviene indebitarsi fino al collo per un diritto allo studio che dovrebbe essere universale?

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