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Ad Aleppo strage all’Università (e il mondo resta a guardare)

Oltre 80 morti e 160 feriti. Ma la conta delle vittime – come si dice in questi casi – è destinata a salire.

È questo il bilancio spaventoso dell’ennesima strage accaduta martedì 15 gennaio in Siria, dove da due anni è in corso una sanguinosissima guerra civile. Stavolta il bersaglio è stata l’Università della città di Aleppo, che si trova al Nord del Paese ed è più popolosa della capitale Damasco.

Due bombe, infatti, sono esplose nel complesso universitario, precisamente in un’area intermedia tra i dormitori degli studenti (dove si rifugiavano anche civili scappati dalle loro case per via dei bombardamenti) e la sede della facoltà di Architettura. Secondo il governatore della città, Mohamed Wahid Akkad, si è trattato di «un attacco terroristico, che ha preso di mira gli studenti nel loro primo giorno di esami».

Di chi è la responsabilità di quanto avvenuto? I lealisti al regime di Assad incolpano i ribelli e viceversa, anche se l’Ateneo si trova nella parte di Aleppo presidiata dall’esercito governativo. Le autorità siriane, a tal proposito, parlano di due missili lanciati dagli insorti ma che hanno centrato il bersaglio sbagliato. Quest’ultimi, però, sostengono che la strage sia stata causata da un raid aereo delle forze dell’esecutivo di Damasco.

Comunque, poco importa stabilire di chi sia la colpa. Ciò che addolora è, invece, che in Siria si continui a morire ogni giorno e da troppo tempo: i numeri parlano di oltre 60000 morti. Un’immensità.

Il mondo (che per sineddoche indica chi sta nelle “stanze dei bottoni”), però, sta a guardare: spende tante parole, a volte compie qualche azione pseudo-diplomatica ma nulla più. Eppure, in Libia, neanche due anni fa, l’Occidente si è mosso repentinamente per spodestare il raìs Gheddafi, colpevole di bombardare le case di chi si opponeva al suo regime. Se le dinamiche delle cosiddette “Potenze Mondiali” fossero mosse dalla coerenza, allora forse ci sarebbe dovuta già essere una qualche forma d’intervento. In realtà, la Siria ha quel quid che la “discrimina”: difetta di petrolio ed è troppo vicina all’Iran.

Foto da FreedomHouse (The City of Aleppo has been ruined by the civil war)

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A proposito dell'autore

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1 risposta

  1. Pensatrice libera

    Concordo con il finale del post. Che dire, poi, del fatto che si sta intervenendo in Mali?