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Arancino o arancina? Chi vince fra Palermo e Catania


Arancina a Palermo, arancino a Catania, il derby dura da decenni. L’Accademia della Crusca si è espressa. Ma alla fine sono sempre e palle ‘e riso

Arancino o arancina? Chi vince fra Palermo e Catania
Arancino o arancina? Chi vince fra Palermo e Catania

Si dice “arancino” o “arancina”? Stop alle polemiche. Non c’è praticamente città della Sicilia che non ne rivendichi l’origine, ma è sul nome che la disputa è particolarmente accesa. Il motivo è la tendenza all’utilizzo del termine “arancina” nella Sicilia occidentale, a Palermo, vista con la forma in genere tonda. Che diventa però “arancino” nella parte orientale, a Catania,  dove invece quasi sempre ha una forma appuntita, ispirata forse alla sagoma dell’Etna.

Diatriba di decenni, che si è riaccesa con la pubblicazione dell’Accademia della Crusca di una scheda ufficiale – che al posto di sedare la polemica qualche anno fa la accese di nuovo. Se ne parla ancora, ad esempio all’incontro più partecipato dello Street Food Fest di Catania, svoltosi dal 17 al 20 maggio 2018 nella patria dell’arancino. Presente, anche Stefania Iannizzotto, siciliana di origine, e autrice della contestata scheda dell’Accademia.

L’Accademia della Crusca dice

L’Accademia della Crusca, che sulla questione si è pronunciata **ufficialmente: **“Il gustoso timballo di riso siculo deve il suo nome all’analogia con il frutto rotondo e dorato dell’arancio, cioè l’arancia, quindi si potrebbe concludere che il genere corretto è quello femminile: arancina. Ma non è così semplice”.

L’origine del nome: arancia

L’origine di questa pietanza, come di tutte quelle a base di riso nell’Italia meridionale, è da collocare durante la dominazione araba, tra il IX e l’XI secolo. Gli Arabi avevano infatti l’abitudine di appallottolare un po’ di riso allo zafferano nel palmo della mano, per poi condirlo con la carne di agnello. Come notava Giambonino da Cremona nel XIII secolo nel suo Liber de ferculis, gli Arabi tendevano a chiamare tutte le loro polpette con un nome che rimandasse a un frutto in qualche misura simile: ecco allora le arancine, ispirate all’agrume di cui l’isola era ricca.

In dialetto “arancinu”

L’arancina siciliana comparve molto tardi nei ricettari che oggi conosciamo: nel XIX secolo. Al punto che alcuni dubitano di un reale collegamento con la cucina araba. Nel Dizionario siciliano-italiano di Giuseppe Biundi (1857)compare il termine “arancinu”, definito come “vivanda dolce di riso fatta alla forma della melarancia”. Il passaggio al salato è documentato per la prima volta nel Nuovo vocabolario siciliano-italiano di Antonino Trina (1868), ed è probabilmente a questa variante che si ispirano le “crocchette di riso composte” dell’Artusi, che però non prevedono ancora né la carne, né il pomodoro, probabilmente una introduzione di poco posteriore. Ma se il termine originale è “arancinu”, come tradurlo in italiano? Al maschile o al femminile? Seguiamo il ragionamento della Crusca: “Nel dialetto siciliano, come registrano tutti i dizionari dialettali, il frutto dell’arancio è aranciu e nell’italiano regionale diventa arancio”. Quindi “arancinu” nel dialetto siciliano era ed è declinato al maschile, come attestano entrambi i vocabolari ottocenteschi sopra citati. “Del resto, alla distinzione di genere nell’italiano standard, femminile per i nomi dei frutti e maschile per quelli degli alberi, si giunge solo nella seconda metà del Novecento, e molti parlanti di varie regioni italiane – Toscana inclusa – continuano tuttora a usare arancio per dire arancia”.

Al femminile è meglio

Dunque, “arancinu” in origine si traduceva sicuramente come “arancino”, ma la codifica del maschile per l’albero e del femminile per il frutto propria dell’italiano, intervenuta successivamente, avrebbe determinato un “cambio di sesso” in “arancina”. Secondo la Crusca, entrambe le forme sono corrette anche se “il femminile tuttavia è percepito come più corretto – almeno nell’impiego formale – perché l’opposizione di genere è tipica nella nostra lingua, con rare eccezioni, per differenziare l’albero dal frutto. Si può ipotizzare che il prestigio del codice linguistico standard, verso cui sono sempre state più ricettive le aree urbane, abbia portato la forma femminile arancia a prevalere su quella maschile arancio nell’uso dei palermitani. Essi, avendo adottato la forma femminile per il frutto, l’hanno di conseguenza usata nella forma alterata anche per indicare la crocchetta di riso: dunque, arancina”. Come, tra l’altro, testimonia la più antica citazione letteraria di questa specialità, quel passo dei Vicerè del catanese Federico De Roberto in cui si parla di “arancine di riso grosse ciascuna come un mellone”. Dunque, vanno bene entrambi i termini, ma guardando la bibliografia** vincerebbe la parola “arancina”**.

Gli Arancinu di Savia a Catania e le Arancinie di FUD

Savia è una delle pasticcerie, anzi, la pasticceria-rosticceria più famosa di Catania, e proprio loro hanno sempre chiamato, in controtendenza e unici in città, arancine (alla palermitana) le loro creazioni. è stato così per anni, dal 1897 per la precisione,  ma dopo la proclamazione dell’Accademia della Crusca hanno ceduto, ripristinando la dicitura dialettale “arancinu”. Seconda soluzione di mediazione, quella di FUD, locale simbolo della nuova cucina siciliana di qualità che il giorno di Santa Lucia, il 13 dicembre, quando si mangiano tradizionalmente, hanno sfornato “arancinie” per un giorno. Un gioco fra due città  che a Palermo per un giorno sfocia in due ricette: una a punta con sarde e finocchietto e una tonda alla “norma” con melanzane fritte ricotta pomodoro e basilico.

Le varianti di un classico

Alla base della specialità dell’isola c’è il riso (un tempo coltivato anche nella Piana di Catania) e, in genere, salsa di pomodoro e ragù. Ma ci sono anche le varianti con besciamella e prosciutto cotto, mozzarella e prosciutto, con provola e piselli, alla norma, e poi al pistacchio, ai piselli, alla salsiccia, al pesce spada e ai frutti di mare. C’è perfino quello “sbagliato” con pomodorini, lardo, zafferano e cannella, per non parlare delle varianti dolci.

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