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Guerra in Ucraina, l’Italia rischia la “stagflazione”: cos’è e che conseguenze può portare

L’Italia rischia la stagflazione. A lanciare l’allarme è l’Ufficio studi della Cgia di Mestre. Secondo l’associazione, “il rischio non è immediato, ma il pericolo che la nostra economia stia scivolando lentamente verso questa tempesta perfetta è molto elevato”. La stagflazione, ricorda la Cgia, “si manifesta raramente, ovvero quando ad una stagnazione economica si affianca un’inflazione molto alta che fa impennare il tasso di disoccupazione”.

“Un quadro economico – sottolineano gli artigiani di Mestre – che potrebbe verificarsi anche in Italia, cosi’ come già è successo nella seconda metà degli anni ’70 del secolo scorso. Non nel 2022, anche se il trend sembra essere segnato: le difficoltà legate alla post-pandemia, gli effetti della guerra in Ucraina, le sanzioni economiche alla Russia, l’aumento dei prezzi delle materie prime e dei prodotti energetici rischiano, nel medio periodo, di spingere l’economia verso una crescita pari a zero, con una inflazione che si avvierebbe a sfiorare le due cifre. Uno scenario che potrebbe rendere pressoché inefficaci persino i 235 miliardi di euro di investimenti previsti nei prossimi anni dal Pnrr”.

Secondo la Cgia bisognerebbe intervenire simultaneamente almeno su due versanti: “In primo luogo, attraverso la drastica riduzione della spesa corrente e, in secondo luogo, con il taglio della pressione fiscale, unici strumenti efficaci in grado di stimolare i consumi e per questa via alimentare anche la domanda aggregata di beni e servizi. Operazioni, queste ultime, non facili da applicare in misura importante, almeno fino a quando non verra’ ‘rivisto’ il Patto di Stabilità a livello europeo”.

La Cgia chiede di fare attenzione anche alla spirale “prezzi-salari”. Su 992 contratti di lavoro depositati presso l’Archivio nazionale dei contratti pubblici e privati del Cnel, al 31 dicembre scorso 622 risultavano scaduti (il 62,7 per cento). L’associazione segnala che solo nella seconda parte del 2021, le associazioni datoriali assieme alle sigle sindacali ne hanno rinnovati 363. Con un’inflazione che quest’anno sfiorerà il 4 per cento, sottolinea ancora la Cgia, “dobbiamo assolutamente evitare di alimentare la spirale “prezzi-salari” che verso la fine degli anni ’70 contribuì a far schizzare il caro vita a un livello superiore addirittura al 20 per cento.

Così come in parte già si sta facendo, con il rinnovo dei contratti nazionali va sviluppata maggiormente la contrattazione di secondo livello (territoriale o aziendale), potenziando, in particolar modo, il ricorso al welfare aziendale1 . Un istituto, quest’ultimo, che può svolgere un ruolo importante nel calmierare il caro-vita e allo stesso tempo gratificare, a costi più contenuti di quelli offerti dal mercato, i bisogni di beni e servizi dei lavoratori e/o delle loro famiglie”.

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