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“Ho preso una triennale in 10 anni, ma ora sono realizzata”: la confessione di un’ex studentessa

Non esistono solo studenti perfetti, ma ognuno poi con tenacia prova a trovare e a centrare la propria strada. A raccontarlo, in anonimo, una lettrice della pagina cult ‘L’universitario di merda’. In questo modo la protagonista ha voluto dare un messaggio a tutti gli studenti.

Questo il suo racconto:

“Voglio raccontare anch’io la mia storia per dare a tutti una speranza. Mi sono iscritta all’università più di dieci anni fa, magistrale a ciclo unico. Primo e secondo anno perfetti: sempre seduta in prima fila, tutti gli esami superati al primo appello e con voti dal 28 in su.

A metà del terzo anno, mi contattano da un’azienda lontana da casa alla quale avevo mandato un CV per il lavoro dei miei sogni e mi dicono di essere stata assunta per un tirocinio di un anno. Ne parlo coi miei, titubante di poter poi rimanere indietro con gli studi, ma loro mi spingono a non perdere il treno della vita, che l’università si poteva fare parallelamente, che mi avrebbero aiutata loro economicamente, ecc. Mi sento un po’ in colpa ma parto.

Durante quell’anno sul lavoro va meravigliosamente, ma inizio a perdere decisamente entusiasmo per l’università. In più vedo i miei amici iscritti ad una triennale iniziare a laurearsi mentre io mi sento bloccata in una magistrale di cinque anni. Inizia in me un senso di frustrazione mai provato prima e iniziano anche le bugie. Ai miei genitori, poverini, che proprio non lo meritavano, ma anche a me stessa: dicevo e mi convincevo che tutto andasse bene, che stessi continuando a studiare e a superare esami, mentre solo aprire un libro mi faceva venire la nausea, letteralmente.

Finisce l’anno di prova in azienda e addirittura mi assumono, per tre anni, e lì le cose si complicano, perché io vorrei lasciare l’università ma i miei, convinti stessi riuscendo a fare tutto parallelamente, mi incitano a non farlo, che ormai manca poco, che non importa quanti anni ci metto, ecc. Entro sempre di più in un vortice di sensi di colpa e insoddisfazione per la mia vita che mi porta sull’orlo della depressione e mi fa addirittura sfiorare pensieri molto negativi, perché all’imbarazzo per le bugie e per non riuscire negli studi, io sempre stata una studentessa modello dalle elementari, preferivo togliermi di mezzo.

Finisco anche i successivi tre anni di lavoro, durante i quali riesco anche a dare qualche esame sporadico (due o tre l’anno, ma me ne mancavano forse altri quindici) ma l’azienda in cui lavoro va in crisi e decide di non rinnovare il contratto ai nuovi assunti. Torno a casa e lì il baratro. Mi vedo a 25-26 anni senza titolo di studio e senza lavoro.

Potrei cambiare facoltà e sceglierne una più in linea con la professione praticata fino a quel momento ma sono troppo orgogliosa per ammettere un fallimento e farlo davvero. Finisce che un giorno esplodo: confesso tutto ai miei (che lì per lì si spaventano tanto, urlano e piangono con me, ma che poi si attivano per sostenermi ancora più di prima) e decido di voler chiudere con gli studi e la carriera dei sogni e di partire col poco messo da parte lontana da casa, accettando qualsiasi lavoro pur di sentirmi in qualche modo autonoma e realizzata.

Passo così degli anni davvero singolari, molto faticosi ma decisamente di rinascita (perché parallelamente chiudo anche una relazione tossica) durante i quali all’inizio faccio in effetti davvero qualsiasi lavoro, facendomi anche forse volontariamente sfruttare per punirmi, ma poi inizio a cercare lavoro in un’azienda simile a quella dove mi ero formata, non proprio il lavoro dei miei sogni ma qualcosa di molto vicino. Mi riscopro in grado di farcela, efficiente sul lavoro, tenuta in considerazione da capi e colleghi. E dopo due anni decido addirittura di mettermi in proprio e aprire io un’azienda nel settore dei miei sogni: soddisfazione immensa, vinco anche dei premi, tutti felici, la vita è bella. Eppure resta sempre un tarlo dentro di me: la laurea.

Quel pezzo di carta, inutile per la mia professione ma che comunque mi tormento di non essere riuscita ad agguantare, non mi lascia in pace. Al solo pensiero di tornare su quei libri mi torna in realtà la nausea, ma finalmente non sono più così orgogliosa e arrabbiata con me stessa per non cambiare facoltà. Così mi iscrivo alla triennale alla quale sarei dovuta passare molti anni prima e con enorme sollievo e meraviglia la nausea passa, lo studio è piacevole, gli esami si superano. E tutto ciò lavorando di giorno e studiando di notte. Riesco a laurearmi e non vi dico la gioia, mia, dei miei genitori e di chiunque abbia conosciuto il mio percorso.

C’è ovviamente anche chi pensa cose tipo “tutta sta festa per essersi laureata ad una triennale dopo dieci anni”. A poco serve spiegare che la triennale l’ho presa in realtà in poco più di un anno (mi hanno convalidato gli esami della vecchia università) e che comunque, anche ce ne avessi messi il triplo, è una vittoria anche solo essere riuscita a non pensare di buttarmi sotto un treno alla sola nomina delle parole “laurea” e “università” in tv o nei discorsi, per dire. Tra l’altro dopo la prima laurea (versione triennale della magistrale a ciclo unico alla quale ero iscritta) ho poi preso una magistrale in un campo totalmente diverso e un master nel settore lavoro dei sogni (sì, ci avevo preso gusto!).

Da poco inoltre ho vinto un concorso pubblico (perché sì, non è mai tutto rose e fiori, nel frattempo la pandemia ha purtroppo minato l’azienda che avevo fondato e quindi ho dovuto relegare quella professione ad un hobby e darmi da fare altrove. Per fortuna però il lavoro che ho adesso è stabile, remunerativo ed in linea con quanto studiato, quindi non tutti i mali vengono per nuocere). Tutto questo per dire a tutti quelli che si sentono come la me di qualche anno fa, sfiduciati e schiacciati dal peso della vita e dell’università, che niente è perduto. Che esistono i periodi orribili ma che arrivano anche enormi e insperate soddisfazioni, per tutti e in ogni campo. E non vi parlo né di forza di volontà né di meritocrazia. Ma semplicemente di occasioni da prendere, per fatalità, destino, disegno divino, non so: l’importante è fare dei famosi “limoni aspri” che vi dà la vita una buona limonata.

Forse in realtà ci si prende in giro da soli, questo non l’ho mai capito, ma di sicuro si va avanti, sempre. Imparando ad essere meno orgogliosi e più umili e ad accettare anche compromessi (cose che io ho imparato tardi). E io che ho visto cambiare la mia vita innumerevoli volte dal primo all’ultimo giorno di università ne sono la prova. E vi assicuro che ora a nessuno importa se tra colleghi alcuni si sono laureati in tempo e altri hanno dei percorsi simili al mio.

Non è che i primi sono per forza migliori dei secondi, anzi non dico che a volte l’enorme esperienza di vita, pratica e psicologica, rende i secondi migliori, ma quasi. Un in bocca al lupo enorme a tutti voi, vi abbraccerei tutti quando vi leggo così come ero io. Troverete la vostra strada, in un modo o nell’altro. Tranquilli. E un’ultima cosa: non dite mai bugie. Se una cosa non vi piace, nello studio, nella vita di coppia o in qualsiasi relazione, ditelo! Vi renderà liberi e in pace con voi stessi. Forse la cosa che, dopo la salute, davvero più conta nella vita.”

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