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La Casa di Carta 4, omaggio all’Italia. La recensione in anteprima, no spoiler

La Casa di Carta 4, dove eravamo rimasti?

Si sa… allo shock del momento spesso ciò che segue è una sensazione di impotenza mista a incertezza. Panico. Caos. Ed è proprio in questo contesto misto di emozioni contradditorie che ci aveva lasciato la terza stagione de La Casa de Papel.

Nairobi in fin di vita dopo essere stata colpita da un cecchino. Un camion blindato della polizia fatto saltare letteralmente per aria. Una dichiarazione di guerra quella lanciata da Palermo e dalla banda rintanata nella Banca di Spagna, capace di scardinare ogni ordine logico al quale eravamo stati abituati. Un po’ come la mente del Professore, così lucida per tanto tempo, reattiva e anticipatrice e che ora iniziava a traboccare di un’incertezza latente, di un’insicurezza via via crescente a causa della presunta morte di Lisbona, così la fermezza nelle file delle forze dell’ordine è messa a repentaglio e va scomparendo lasciando scompiglio e disordine.

La Casa di Carta 4, tra dicotomie e introspezione dei personaggi

La quarta stagione de La Casa di Carta inizia col caos. Nel caos. Ed è proprio questo il preludio a quello che poi sarà un ritmo costante nella quarta stagione (o meglio, nelle prime cinque puntate viste in anteprima). Contrasti, contrapposizioni prendono vita all’interno della serie portando la stagione ad un livello più alto e trovando la quadra tra azione e introspezione psicologica dei personaggi, il tutto sotto l’alone dell’incertezza, dell’improvvisazione, della decisione non premeditata.

Se eravamo stati abituati ad una azione per certi versi fine a se stessa, dove la spettacolarizzazione all’americana sembrava essere un leitmotiv costante e dove il tutto rientrava nel cerchio anticipatore della mente del Professore e nella lotta a distanza con il colonnello Prieto prima e con l’ispettrice Alice Sierra e il colonnello Tamajo poi, con la nuova stagione le scelte registiche cambiano e le dinamiche relazionali si approfondiscono.

Numerose le dicotomie in gioco, da quella temporale (presente-passato) necessaria a definire personaggi, scelte e a svelare cosa c’è in gioco per ognuno dei protagonisti, a quella dei sentimenti (amore-odio) che lega i personaggi, chiamati a scelte più difficili, ribellarsi agli altri o a loro stessi, in un vortice di scelte continue che ne mineranno o favoriranno l’immediato futuro. Proprio dai personaggi nasce quella distinzione tra il singolo e il gruppo, tra l’interesse personale e la difesa del piano che metterà a rischio i rapporti e le vite dei membri stessi. Ad essere protagonista non è più solo l’azione ma il lato umano, quello più fragile, quello più imprevedibile in grado di capovolgere le sorti o di ristabilire l’ordine nel caos degli eventi.

La Casa di Carta 4, il nemico invisibile

Non è dato sapere chi sarà questa volta a mettere i bastoni tra le ruote alla banda rintanata nella Banca di Spagna, quel che è certo è che i protagonisti dovranno fare prima i conti con loro stessi, con le proprie bugie e contraddizioni prima che un nemico visibile e invisibile allo stesso tempo minacci l’integrità del gruppo e del piano.

Una lotta contro se stessi, contro l’imperante caos che ha dato fine alla terza stagione e che ha ribaltato ogni schema possibile, lasciando spazio solo all’incertezza. Di chi fidarsi?

La Casa di Carta 4: tra italianità, pop culture hollywoodiana e soap opera

Nella quarta stagione la maturazione registica di Álex Pina prende vita. Si riflette, oltre che sul ritmo da binge watching che tanto ha tenuto incollato allo schermo il pubblico nelle precedenti stagioni e su una visione più introspettiva dei personaggi, anche sulla ricercatezza di citazioni e omaggi a quella che è la tradizione italiana e alla cultura pop hollywoodiana: dopo aver omaggiato le note di Bella Ciao sentirete infatti una versione unica di Ti Amo di Umberto Tozzi e ancora Centro di gravità permanente di Battiato, quasi a voler necessariamente omaggiare il nostro Paese. Non mancano i riferimenti ai grandi classici d’azione americani come Die Hard o al maestro della pop culture Tarantino.

Azione e introspezione psicologica si uniscono così in un tutt’uno cadenzato che serra il ritmo degli episodi e tiene alta l’adrenalina e la tensione. Un ritmo alleggerito, oltre che da diversi richiami temporali anche da uno dei marchi di fabbrica della televisione ispanica, i toni da soap opera che caratterizzano alcune scene. Sequenze forse peccaminose di una tradizione impossibile da eliminare del tutto e che  lascia in alcuni momenti un po’ di perplessità ma che non distoglie l’attenzione dalla concitazione e dalla linea narrativa di fondo.

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