Un racconto terribile, fatto di alti e bassi e in cui parecchi giovani posso identificarsi. Virginia, con una lettera inviata alla redazione di Mashable Italia, ha sdoganato il tema della depressione post-laurea. Spesso se ne parla poco, ma non è per nulla un fenomeno di poco rilievo.
“Finalmente mi sono laureata. Finalmente non devo più passare ore e ore in biblioteca a studiare o stressarmi per non averlo fatto. E tra una risata e l’altra durante un’estate che ci ha quasi fatto dimenticare di essere in tempi di pandemia, le persone hanno cominciato a chiedermi che cosa farò della mia vita”.
Poi Virginia si è domandata: “Per un po’ sono riuscita a ignorare la domanda, poi un giorno mi sono svegliata e mi sono resa conto di non saper rispondere. Non so neanche più chi sono: prima ero una studentessa e ora sono una laureata. Ma cosa dovrei farci con la mia laurea?”.
“Dopo la rivelazione, tutti i giorni è più di difficile alzarsi dal letto o vedere un futuro. Ci si sente sempre più soli. Diamo il benvenuto alla depressione post-laurea. Non una vera diagnosi, eppure esiste, e si manifesta tra coloro che armati di diploma devono rassegnarsi ad affrontare la dura realtà del mondo del lavoro”.
“La laurea rappresenta la fine di un importante percorso, e dopo i vari festeggiamenti per aver raggiunto il traguardo, bisogna fare i conti con il fatto che il futuro è qui e forse non è così brillante come ci aspettavamo. Forse la depressione post-laurea è un fenomeno che affligge soprattutto le nostre generazioni. I sintomi sono tristezza, ansia, insoddisfazione generale per la vita, sentimenti di solitudine e di abbandono, assenza di stima e crisi di identità”, scrive Virginia.
Per la neolaureata l’università è stata un’esperienza collettiva in quanto tutti gli studenti, chi con più difficoltà di altri, affrontano le stesse lezioni, professori più severi ed esami. Il rapporto con i compagni è un caldo abbraccio davanti a un possibile fallimento. “All’ennesimo rifiuto da parte di un datore di lavoro, invece, nessuno ti abbraccia o ti dice che il datore è stato ingiusto. Dopo il ventesimo rifiuto, ti prendi a schiaffi da solo sentendoti inadeguato”.
Dietro questo fenomeno ci sono anche dei numeri. Tra il 2008 e il 2014, l’Istat ha calcolato un tasso di disoccupazione schizzato dal 6,7% al 13,5%. Si prospetta che i millennial saranno la prima generazione più povera di quella precedente. E le cose non accennano a migliorare: il governo ha affermato che il tasso di disoccupazione salirà del 2,1% quest’anno, il corrispondente di 560 mila posti di lavoro in meno.
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