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Scuola, il tenero tema di un 13enne sul Covid: “Soffriamo, ma non ci capirete mai”

È da più di un anno che anche i più piccoli convivono con la Dad. Sono stati gli strumenti tecnologici a cercare di dare un feedback tra docenti e alunni durante l’emergenza sanitaria che stiamo ancora vivendo. Spesso i giovanissimi sono scesi in piazza per reclamare la propria voglia di scuola, di riassaporare quei banchi che furono e che si sono frequenti con una modalità altalenante nell’ultimo anno scolastico.

Questa volta a diventare celebre, grazie ad un passaparola sul web, è stato il tema di un 13enne. Lo studente, che frequenta la scuola Romolo Gessi di San Pietro in Vincoli, frazione di Ravenna, ha deciso di protestare usando il tema di italiano proposto in classe.

Il 13enne decide di iniziare il tema con lo scopo di manifestare il suo dolore di non tornare a scuola: “Questo ennesimo tema sul Covid lo scrivo solo per non prendermi un 4 italiano, che poi sarebbe difficile da recuperare. Pare infatti che l’unico modo per dire come stiamo vivendo noi ragazzi sia di scriverlo nei temi sul Covid. Questo è il terzo che scrivo, non so quanti ne ho letti dei miei fratelli più grandi”.

Il tenero tema di un 13enne sul Covid

Questo è il tema integrale del giovane, una traccia forse per capire nel futuro ciò che è stato il Covid-19 per gli studente, soprattutto più giovani.

Noi ragazzi viviamo malissimo. Abbiamo portato pazienza fino ad oggi, ma non ne possiamo più. Questo ennesimo tema sul Covid lo scrivo solo per non prendermi un 4 italiano, che poi sarebbe difficile da recuperare. Pare infatti che l’unico modo per dire come stiamo vivendo noi ragazzi sia di scriverlo nei temi sul Covid. Questo è il terzo che scrivo, non so quanti ne ho letti dei miei fratelli più grandi.
Ci avete dimenticato in tutti i decreti, ci avete chiusi in casa coi genitori, allontanati dagli amici. Non possiamo fare sport. Dobbiamo vivere da sedentari, come se poi facesse bene. Ora ci impedite di andare a scuola, trattati come untori solo che abbiamo un anno più di 12, come ci ho io.
Poi vedi in giro o leggi sui giornali che chi va nelle bocciofile ad infettarsi non ha di certo 13 anni, come pure chi fa gli aperitivi nel retro dei bar. Quelli sono gli adulti. Noi vorremmo solo andare a scuola, non a mangiare la pizza o al cinema, perché sappiamo bene che è vietato, ma a scuola assolutamente sì.


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E il 13enne continua: “Ma voi adulti che ci governate avete mai chiesto un nostro parere? Vi state rendendo conto che avete calpestato ogni nostro diritto? Il diritto di crescere, di imparare, di formarci una nostra idea? La scuola non si può fare a casa, perché non possiamo imparare da dietro uno schermo come si diventa adulti. I nostri professori, i nostri amici, le nostre paure, gioie, emozioni ci formano in classe, non a casa. Avevamo imparato a giocare senza toccarci, a sorridere dietro le mascherine, a stare seduti senza superare i confini, a rispettare tutte le regole adattandoci prima degli altri. Ma non è bastato, perché ci avete stoppato ancora. Che poi io sono anche un ragazzo fortunato perché a casa mia si respira un buon clima, abbiamo la connessione e i miei genitori non hanno perso il lavoro. Ma chi pensa a quei poveri ragazzi che hanno famiglie con difficoltà o che sono trattati male? Nessuno. Ci avete recluso e basta”.

“E hai voglia di passeggiare con il cane, di giocare con i fratelli, di portare pazienza, di scrivere testi, di urlare le tue proteste. Io ho capito che voi adulti non ci darete mai voce. Tanto che avevo proposto ai miei compagni di aderire allo sciopero della DaD, non già per non connetterci, ma per sfruttare quelle ore per spiegarci e per far capire che noi non ne possiamo davvero più. Ma nessuno mi ha dato retta e solo io ho provato a parlare in chat con una professoressa che non mi ha neppure risposto. Io non ho più nessuna voglia di continuare la scuola in questo modo. Vedere che nessuno di noi è in grado di reagire mi fa arrabbiare tantissimo. Ci siamo rassegnati a fare scuola in questo modo? Perciò prendo questa occasione per dire che dopo un anno noi ragazzi siamo davvero stanchi e le nostre menti si stanno esaurendo. Però non abbiamo i mezzi per comunicare i nostri disagi e anche se li avessimo probabilmente non abbiamo chi potrebbe interessarsi ai nostri discorsi”.


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A proposito dell'autore

Mi chiamo Morana Alessandro, classe 2000, palermitano. “non aver paura di sbagliare un calcio di rigore. Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore”