Categories: In evidenzaStorie

Studiare, laurearsi, master e…call center

Fa freddo. Ancora non ci credo, per nove mesi non sentirò più nessun beep, nessun ronzio, mai più un “vaffanculo” dopo la frase di chiusura. L’ho fatto, l’ho fatto veramente, ho scelto il master, l’ultimo si spera.

Per quasi un anno non rivedrò i pannelli verdi e consunti del call center, le facce tirate dei miei colleghi, le urla, il vociare confuso e incalzante, il rumore delle dita che picchiano sulla tastiera, la porta del bagno che sbatte della postazione vicino al cesso. L’aria condizionata a dicembre. Il riscaldamento ad agosto.

Basta, basta, basta, che si fottano… loro e le procedure, le parole nere, i dati e le percentuali, lo stipendio a fine mese e la prospettiva di lavorarci tutta la vita. Io odio questo lavoro. Mi aliena, mi estranea, mi spegne giorno per giorno.

Non ho studiato vent’anni per inserire il pacchetto Sport. Io lo sport, al limite, voglio raccontarlo, voglio scriverlo, voglio viverlo e forza Palermo sempre…

Imbacuccata dentro il mio cappotto, tra i colli romani e le lezioni universitarie in questa ridente (forse per via del buon vino) stazione di Pavona non c’è soltanto una ragazza di quasi 30 anni, ma un’intera generazione. La stessa che al mattino si alza alle 5 per studiare o, peggio, andare a prendere il treno, in quell’odiosa, schifosa e puzzolente stazione di Bagheria.

Sento ancora l’odore di urina sui muri e la macchia da scansare delimitata solo dalla linea gialla prima dei binari. Bagheria. I ricordi dei suoi treni composti da un solo vagone pieno di gente incastrata dentro speranze dure a morire, con l’odore stantio del deodorante ascellare mi danno ancora la nausea. Lo scompartimento, colmo di aspettative e illusioni, sapeva di ruggine. L’odore ti penetrava come il fumo, togliendo letteralmente l’aria, la voglia di vivere.

Solo le cuffie e l’iPod mi aiutavano ad andarmene fuori da quel carnaio in cui ero costretta a stare: tra una mano che stava lì pronta a palpeggiarti ed il sedere gigante di una signora sparato in faccia, seduta su uno scalino tra un vagone e l’altro.

Tutti i giorni, per mesi, anni.

Siamo tanti, tantissimi, stipati come animali verso il macello della Palermo Centrale, nessuno che si lamenti e faccia qualcosa, solo pecore che belano, all’unisono.

C’è di tutto e forse pure di più, tutti pendolari, tutti studenti e, soprattutto, universitari, tutti con lo sguardo a pampinella e l’alito da spazzolata veloce, con ancora la forma del cuscino sulla guancia.

Sempre gli stessi.

Uno in particolare se ne sta lì sempre al suo “solito” posto, solo con i suoi pensieri. Guardandolo mi pare quasi di ascoltarne l’intera sua vita. Anche lui è un laureando con il part-time al call center, qualche soldo da mettere da parte e lo stomaco pieno di passione e tante, troppe promesse. Probabilmente è un musicista, la faccia ce l’ha.

Il suo sguardo stanco, già alle 6 del mattino, racconta di serate tra i pub per raccogliere fama e soldi, in attesa che qualcosa succeda. In attesa del prossimo treno, che dai, cazzo, dovrà passare prima o poi.

Io lo so, anche lui tiene quella fiamma accesa e non sarà un treno di periferia che non va da nessuna parte a spegnerla. I sogni lui li protegge, li avvolge insieme alle sue mani grandi raccolte intorno alla sua piccola fiamma. È uno dei tanti che non si accontenta, che vuole continuare a credere che tutto sia possibile, che volere è potere , che studiare è l’unica via. Ma non è pazzo, anche se lo sembra. E non è da solo, insieme alle sue ci sono le mie mani e quelle di chissà quanti altri a proteggere la fiamma. Gente che ha studiato, che ha fatto mille lavori pur di pagarsi gli studi. Gente che per continuare a studiare è partita lontano, lasciando affetti, amori, amicizie. Una fiamma accesa dalla prima volta che ci hanno chiesto cosa volevamo fare da grandi e che abbiamo tenuto viva con i nostri sacrifici. Dai cazzo Sonia, ce la puoi fare, è questo quello che mi ripeto giorno per giorno, chiamata dopo chiamata.

Per chi mi chiede del mio lavoro, le risposte sono sempre le stesse: «Il call center? È solo un lavoro come un altro, un lavoro momentaneo», «ma sì sì, certo che non voglio lavorarci tutta la vita mamma». Quante paranoie, quante bugie, quanta ipocrisia.

Ci comincio a credere, anche se a Pavona ci sono arrivata da poco per il master. Ma non devo mollare, neanche con 3 gradi e la neve che comincia a cadere dopo 20 anni. «Dai, prendi il master e poi vedrai che si apriranno tante porte». Per ora non voglio che questo. Mi piace già il suono che ha: «Master in Editoria, giornalismo e management culturale». Sticazzi… di stupore però.

Sono giorni che corro, che ascolto. Me ne sto chiusa in questa camera in affitto che pago con il sudore dei miei neuroni. Ne ho fatto pure il calcolo: 10 chiamate equivalgono a 10 neuroni, per cui, questa camera in questo albergo mi costa 30 neuroni al giorno. Ho il cervello in pappa.

Non c’è niente di niente ed il viaggio per raggiungere Roma è secondo solo al tratto che facevo a casa per andare all’università.

Passo i miei pomeriggi a leggere, leggo di tutto, leggo forse per non pensare, per evitare di tornare a ricordare quello che ho lasciato a Palermo. I miei gatti, mia madre, il mio ragazzo… Le cuffie.

Le stesse che mi tiravano i capelli già dopo due minuti. Quelle, le “stronze”, le ho lasciate appese in camera e spero di poterle tirare, un giorno, per aria, farle volare per sempre il più lontano possibile.

Ho voglia di sentirmi viva, di poter finalmente guardare la mia vita con orgoglio, di fare qualcosa con passione, di veder passare le ore, i giorni, senza rendermene conto, sentendo il bisogno del tempo stesso. Il 110 e lode l’ho avuto già, la foto me lo ricorda insieme alla laurea che ho chiuso nel cassetto.

Eppure non ce la faccio, passo da uno stato all’altro, da tenere illusioni a realtà peggiori delle mie stesse paure. Sempre più grandi, sempre le stesse.

Ho paura che tutto questo non sia che l’ennesimo tempo perso.
Ho paura di sentirmi il fiato sul collo dagli anni che passano.
Ho paura di sentirmi dire che per un posto da apprendista non ho ancora abbastanza esperienza.
Ho paura dei sogni dentro gli stage, perché ti fanno respirare qualcosa che non sarà mai tuo.
Ho paura. E sono sola.

Forse dovrei lasciare tutto, provare come fanno gli altri ed andare via, scegliere un posto qualsiasi sulla cartina che non sia l’Italia e scappare, partire, il più lontano possibile.

Eccolo qua, un altro cervello che sta tentando la fuga dentro un corpo pietrificato che non vuole andare via. Mi sento patetica e comincio ad essere stanca. Mi sento una fallita. Sono entrata in Karmacall perché mi servivano i soldi per andare all’università, doveva essere un impiego temporaneo. E invece sono rimasta lì anni, incatenata ad un lavoro che, tutto sommato, mi ha garantito un’entrata sicura che molti altri ragazzi non hanno. Eppure non riesco a smettere di chiedermi che senso abbia avuto studiare così tanto. Odio il mio diploma di laurea. Lo odio perché mi ha illusa.

Mi fossi svegliata prima. Quanto tempo sprecato.

Sonia svegliati, il treno è già passato e tu stai ancora cercando l’orario sul tabellone.

Ecco cosa sono… una fallita che è arrivata in ritardo alla consapevolezza.

Sonia svegliati, devo ripetermelo più spesso.

Sonia svegliati.

«Sonia, alzati, sono le 9, farai tardi in ufficio».

Furono queste le ultime parole legate a quella notte particolare, un riassunto di tutte le bugie da neo-laureata prima del master più importante della mia vita.

Adesso, mentre accarezzo Asia, guardo fuori e piove, come sempre del resto.

Non mi abituerò mai a questo. Dopo quasi 3 anni in questa nuova città con il mio nuovo lavoro finalmente posso dire di essere soddisfatta.

Vivo insieme all’uomo che amo e faccio quello che ho sempre desiderato fare fin da piccola.

Forse è questo il segreto: buttarsi a capofitto nelle cose, fin quando se ne ha il tempo, fin quando le forze non ci abbandonano, fino a quando la routine non viene travolta dal treno che aspettavi ma che non hai visto arrivare.

Chiudere gli occhi e farsi investire, succeda quel che succeda.

Chiudere gli occhi e fare finalmente il salto nel buio.

Quando ho dato le dimissioni in Karmacall ho pianto. Un pianto liberatorio, grande quanto tutti i suoi sei piani.

Ho rinunciato a tutto, ad un lavoro in cui ho lasciato parte della mia vita e che mi ha concesso tanto, probabilmente anche l’essere qui oggi.

Ho indossato le cuffie quando avevo appena 19 anni e dentro quasi 150.000 chiamate, dieci anni dopo, giorno dopo giorno, esame dopo esame, ho tracciato pian piano tutta la mia vita.

Mi sono arresa, sono caduta, mi sono rialzata e sono caduta altre innumerevoli volte, ma non ho mai rinunciato al mio sogno.

Sono sempre più convinta che è lo studio unito alla nostra passione il vero lascia-passare, e che probabilmente aveva ragione Adriano, il ragazzo che vedevo sempre in treno, con le bacchette da batterista in mano, lo stesso che in radio, qualche mese prima di partire cantava:

«Siamo tutto tranne che semplici operatori di call center, siamo miracoli… Siamo miracoli».

Amen.

(Dedicato a Sonia e Adriano. Semplici Miracoli di call center… Laureati).

Marco Giglio

Marco Giglio nasce a Palermo il 23 Marzo del 1978, la sua infanzia è circondata dalla storia e dalle ballate del Capo, quartiere a cui oggi si sente molto legato, pur avendo vissuto tutta la sua adolescenza nel quartiere Zen2. Diplomato in Elettronica e Telecomunicazioni dopo svariate esperienze fuori la propria terra ne fa' ritorno accettando lavori piu' o meno regolari. Nel 2004 Inizia a lavorare per il “call center piu' grande d'Italia”, Almaviva Contact, dove oggi lavorano piu' di 20.000 persone, 4500 solo a Palermo. Nel Maggio del 2014, a ridosso del primo sciopero nazionale dei call center a Roma tenutosi il 4 giugno, pubblica con Youcanprint, Cuffie & Pannolini. ll libro, autobiografico, affronta l'annoso tema della delocalizzazione e della figura dell'operatore call center, spesso ancora legata a stereotipi che legano il lavoratore ad un lavoro temporaneo che ormai si consolidato dando lavoro a piu di 80.000 persone a tempo indeterminato. MacchiaNera Italian Award 2014. nella categoria "miglior articolo" ricevendo, nella fase finale ben 1.229 voti.

Published by
Marco Giglio

Recent Posts

Le migliori mete estive per studenti universitari: viaggi low cost, esperienze indimenticabili e divertimento assicurato

Le mete estive perfette per gli studenti universitari: viaggi economici, cultura, divertimento e relax. Ecco…

10 ore ago

Le città preferite dagli studenti universitari: ecco dove vogliono studiare in Italia e in Europa nel 2025

Da Bergamo a Barcellona, scopri le città preferita dagli studenti universitari: la classifica completa delle…

12 ore ago

Oroscopo degli studenti universitari 2025/2026: cosa ti riserva il nuovo anno accademico?

Scopri come sarà il tuo anno tra esami, nuove amicizie, professori severi e colpi di…

14 ore ago

Assunzioni per Diplomati al Poligrafico e Zecca dello Stato: Opportunità nel Settore IT | Invia Subito il CV

Scopri come candidarti per le nuove assunzioni al Poligrafico e Zecca dello Stato: opportunità per…

16 ore ago

Ferrero assume neolaureati: opportunità di lavoro e stage in Italia e all’estero

Scopri le nuove assunzioni Ferrero per neolaureati: offerte di lavoro e stage retribuiti in Italia…

18 ore ago

Maxi Concorso Ministero della Giustizia, 2970 Assunzioni: Finalmente online il Bando | Requisiti e Come Candidarsi

Concorso Ministero della Giustizia: 2.970 Assunzioni per diplomati e laureati in tutta Italia. Ecco sedi,…

19 ore ago