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Cosa è l’Hikikomori: il fenomeno che sta colpendo sempre più giovani

“Hikikomori”, termine giapponese che significa “stare in disparte”, viene utilizzato per indicare chi decide di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi, alle volte anni. Rinchiusi nella propria abitazione, evitano qualunque tipo di contatto diretto con il mondo esterno, talvolta anche con i familiari. Si stima che ci siano circa 1,2 milioni di giovani Hikikomori solo in Giappone, ma il fenomeno è in aumento anche in altre parti del mondo.

Le cause dell’Hikikomori sono molteplici e spesso complesse. Tra le principali cause ci sono problemi di salute mentale, come ansia e depressione, ma anche difficoltà a livello sociale, come il bullismo e la solitudine. In molti casi, l’Hikikomori è legato anche al mondo digitale e alla dipendenza da internet e dai social media.

Ma cosa si può fare per aiutare le persone che soffrono di Hikikomori? In primo luogo, è importante cercare di capire le cause del problema e di offrire supporto psicologico e sociale. Questo può includere la terapia, la consulenza e la partecipazione a gruppi di supporto.

Inoltre, è importante incoraggiare le persone affette da Hikikomori a cercare aiuto e a interagire con gli altri. Ci sono molte attività e gruppi sociali che possono aiutare le persone a uscire dalla loro solitudine e a trovare un senso di appartenenza.

Infine, è importante ricordare che l’Hikikomori può avere conseguenze a lungo termine sulla salute mentale e fisica delle persone coinvolte. È quindi fondamentale affrontare il problema il prima possibile e cercare di trovare una soluzione sostenibile per il futuro.

Sono giovani, soprattutto maschi, che decidono di isolarsi. Identikit degli Hikikomori in Italia, come si riconoscono e come si possono aiutare

CHI E QUANTI SONO GLI HIKIKOMORI

Gli Hikikomori sono soprattutto giovani tra i 14 e i 30 annimaschi nel 70-90% dei casi, anche se il numero delle ragazze isolate potrebbe essere sottostimato dai sondaggi effettuati finora. Le indagini ufficiali condotte finora dal governo giapponese hanno identificato oltre 1 milione di casi, con una grandissima incidenza anche nella fascia di popolazione over 40. Questo perché, nonostante i soggetti hikikomori si palesino principalmente durante l’adolescenza, la condizione tende a diventare cronica, rischiando di perdurare anche tutta la vita. In Italia, soprattutto a seguito della pandemia che ha estremizzato il problema, l’attenzione nei confronti del fenomeno sta aumentando. Nel nostro paese non ci sono ancora dati ufficiali, ma si stima ci siano circa 100.000 casi.

LE CAUSE

«Alla base di questa condizione – spiega lo psicologo Marco Crepaldi, fondatore dell’associazione Hikikomori Italia – c’è un disagio adattivo sociale. I giovani, che sperimentano una forte ansia sociale, faticano a relazionarsi con i coetanei e ad adattarsi alla società. Sono spesso ragazzi molto intelligenti, con un elevato QI, ma di carattere molto introverso e introspettivo, sensibili e inibiti socialmente, convinti di stare meglio da soli, lontani da tutti».

I CAMPANELLI DI ALLARME

Per cercare di intervenire tempestivamente, prima che la situazione diventi sempre più irreversibile, è bene conoscere alcuni atteggiamenti che possono evidenziare chi è a rischio di sfociare nella condizione Hikikomori. «I principali campanelli di allarme a cui le famiglie dovrebbero prestare attenzione – chiarisce Marco Crepaldi – sono legati all’insofferenza nella socialità. Dapprima, il rifiuto è legato alle attività extrascolatiche come sport o uscite con gli amici. Successivamente, segue anche il rifiuto della scuola, il cui ambiente, dove possono celarsi storie di bullismo, viene vissuto in modo particolarmente negativo. Gli hikikomori si isolano progressivamente e sviluppano una visione molto negativa della società, soffrendo particolarmente le pressioni di realizzazione sociale, dalle quali cercano in tutti i modi di fuggire. Tutto questo porta a una crescente difficoltà, demotivazione e depressione del soggetto. La dipendenza da internet, al contrario di quanto si pensi, non è una causa dietro all’esplosione del fenomeno, ma rappresenta una possibile conseguenza».

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