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Covid: perché la mancanza di olfatto si protrae a lungo

Ultimamente, i sintomi più discussi del covid-19 sono la perdita del gusto e dell’olfatto. Tali disturbi, nei pazienti infetti, si manifestano con una durata variabile. In alcuni casi i due sensi si recuperano nel giro di una o due settimane, altre volte invece il processo richiede molto più tempo. È successo a Brenda Jenkins, una chef di Manhattan, che ad otto mesi dalla contrazione del virus continua ad avere disturbi olfattivi.

I disturbi dell’olfatto

Le ricerche si stanno concentrando, in particolare, sui disturbi dell’olfatto. Questi, infatti, si possono presentare in due diverse forme: anosmia e parosmia. Nel primo caso si tratta della perdita dell’olfatto, mentre nel secondo i pazienti sono capaci di sentire gli odori, ma li percepiscono in modo sbagliato. Secondo quanto riportato dai dati, gli infetti che hanno riscontrato tali disturbi sono l’80% dei malati covid.

Anche dopo la guarigione, i pazienti affetti da una forma più prolungata di parosmia hanno notato un cambiamento nella percezione dei soliti odori, compreso quello della propria pelle. Molti hanno affermato di non gradire più i loro piatti preferiti.

L’anosmia e la parosmia non sono sintomi esclusivi del covid-19. Sono infatti tra i più comuni nelle altre forme influenzali. Tuttavia, rispetto agli altri virus, il Cov-Sars-2 sembra agire diversamente sulle cellule olfattive. Di conseguenza, i disturbi si protraggono più a lungo. Come mai? La risposta arriva da una ricerca internazionale guidata dall’Università di Harvard.  


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Il coronavirus sfrutterebbe i recettori ACE2, presenti sulle membrane cellulari di vari tessuti e responsabili di filtrare le sostanze all’interno delle cellule. Infatti, una volta raggirate le difese cellulari, il virus fa in modo che le cellule replichino il suo materiale genetico. Il virus prolifica, alimentando l’infezione. Nei neuroni olfattivi l’ACE2 non è presente, dunque la presenza del covid comporta la reazione del sistema immunitario, con l’insorgere di un’infiammazione. Questa va a interrompere il normale funzionamento delle cellule di sostegno ai neuroni olfattivi. È possibile che si estenda anche agli stessi neuroni, danneggiandoli.

Come spiega Sandeep R. Ratta, neurobiologo di Harvard, “L’ampia diffusione della parosmia riflette il fatto che in alcuni pazienti i neuroni stiano certamente morendo. L’idea più condivisa è che questi neuroni siano uccisi attraverso un meccanismo indiretto”. Sembra che i neuroni, tuttavia, possano rigenerarsi e che la parosmia sia proprio un segno del recupero olfattivo. È come se il cervello facesse delle prove, quindi  le nuove informazioni neuronali potrebbero essere recepite come segnali confusi.

Alcuni pazienti hanno disturbi che vanno oltre il periodo di guarigione e si protraggono per mesi. Una priorità dei medici è quella di agevolare il processo di recupero, visto che l’olfatto è strettamente legato alla salute mentale. Infatti, molti affetti da paraosmia hanno manifestato ansia e depressione.

La buona notizia è che il covid non comporta danni cerebrali. Fortunatamente, come affermato da Jonathan Overdevest, un otorinolaringoiatra del New York-Presbyterian Hospital, “Le più recenti ricerche hanno dimostrato che il covid-19 non è così neuro-invasivo come credevamo. Ciò è stato chiarito grazie al nostro interesse per le disfunzioni olfattive”.


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A proposito dell'autore

Neolaureata in Mediazione Linguistica a Unipa, dove adesso frequenta il corso di Lingue Moderne e Traduzione per le Relazioni Internazionali. Le piace cantare, suonare e scrivere. Ama le parole e le ama in diverse lingue, pensa che abbiano un grande potere. Sogna di girare il mondo e di portarsene un pezzo dopo ogni viaggio. Crede nella bontà e nell'altruismo. La sua missione è far ridere gli altri.