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Dall’inizio della pandemia poche restrizioni e 13mila morti, dopo un anno il modello svedese ha fallito

Nel 2020 la Svezia è diventata un caso per il suo approccio poco restrittivo nella lotta al Covid. A un anno di distanza il modello svedese ha fallito.

Facciamo il punto della situazione,

in Svezia, un Paese che si è rifiutato di imporre il lockdown e che ha limitato al minimo indispensabile le altre restrizioni. In Svezia sono state introdotte delle misure di contenimento molto blande. Come sappiamo, sono stati vietati gli eventi con grande partecipazione di pubblico e limiti al numero massimo di persone al tavolo nei locali.

Niente obbligo di mascherina, né negli spazi chiusi né tantomeno all’aperto, ma sì alla mera raccomandazione di rispettare la distanza di sicurezza. Insomma alcune regole sono state stabilite anche lì, ed anche in Svezia ad indicare una direzione al governo sono stati degli esperti del mondo scientifico, come in tutti i Paesi.

Nel modello svedese si è parlato molto spesso, soprattutto in Italia 

I cittadini sopportano da oltre un anno pesanti limitazioni delle libertà individuali garantite dalla Costituzione. Nella speranza che questo possa ridurre drasticamente il rischio di contrarre il Covid-19, e quindi incida positivamente sul bilancio delle vittime.

A oggi i numeri mostrano che la Svezia, che ha 10 milioni di abitanti di cui il 20% vive nella capitale.

Ha registrato dati più gravi rispetto ai Paesi vicini. Sono 885mila i casi e oltre 13mila i morti finora conteggiati, e anche sull’attuale andamento della curva i numeri non confortano.

“la Svezia ha registrato il più alto numero di nuove infezioni da coronavirus pro capite in Europa nell’ultima settimana”. Con “una media di 625 nuove infezioni per milione di persone” negli ultimi sette giorni.

Un numero che è inferiore a quelli di Polonia (521 che in queste settimane sta affrontando un’ondata pandemica molto violenta). Francia (491), Paesi Bassi (430), Italia (237) e Germania (208).

Ma il confronto diventa interessante se parametrato soprattutto ai Paesi Nordici: 65, 111 e 132 per milione sono infatti i numeri di FinlandiaDanimarca e Norvegia. Molto lontani dal 625 svedese.

Ma se infezioni e occupazione delle terapie intensive sono aumentati, non è stato lo stesso per le vittime:

A giocare una parte importante la vaccinazione degli anziani delle case di cura, che sono stati circa il 30% dei morti totali per Covid nel Paese.

Attualmente le dosi somministrate nel Paese sono oltre 2 milioni, col 6,2% della popolazione vaccinata (l’Italia è al 6,9%). Ma è già stato deciso che non sarà utilizzato il siero di Johnson&Johnson dopo le segnalazioni di casi di trombosi simili a quelli rilevati per AstraZeneca, che viene inoculato solo agli over 65.

Nel complesso poi, il modello Svedese ha avuto “un tasso di mortalità per milione di quasi 1.350, molte volte superiore a quello dei suoi vicini nordici, ma inferiore rispetto a diversi paesi europei che hanno optato per i blocchi“.

Significa che le restrizioni non fossero necessarie? No, ma questo dato indica alcuni elementi interessanti rispetto al contesto specifico.

Dall’inizio della pandemia a oggi

In un primo momento la Svezia aveva deciso di agire come il Regno Unito che, al contrario di quanto poi deciso da Stoccolma, ha fatto un importante inversione di marcia con lockdown plurimi e severi e una campagna di vaccinazione che è tra le più efficienti al mondo dopo Israele e Stati Uniti.

La Svezia, invece – che non ha neanche raggiunto l’immunità di gregge. Obiettivo declamato anche da Londra fino a quando Boris Johnson non è intervenuto con una stretta radicale la scorsa primavera – ha continuato sulla strada dei consigli e non delle restrizioni, arrivando sì a limitare il numero di persone per gli assembramenti, ma mai a chiudere le attività essenziali. Un modello che in Minnesota, scrive il New Yorker, alcuni gruppi di estrema destra hanno preso a modello e durante le proteste anti restrizioni sventolavano il cartello “Be Like Sweden”.


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