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Coronavirus e le teorie del complotto

di Santiago Olarte

Il Coronavirus, che nel giro di pochi mesi ha messo a soqquadro l’intero pianeta, ha portato con sé una marea di teorie complottistiche circa la sua origine. Molti, per esempio, sostengono la provenienza del virus da qualche laboratorio segreto, mentre altri preferiscono sostenere una qualche misteriosa relazione con le antenne 5G.

Comunque sia, teorie di questo tipo non sono nuove alla storia. Già ben prima della diffusione di Internet, principale motore di propagazione di queste teorie, il mondo era pieno di complotti e complottisti: basti ricordare il sempiterno “complotto giudaico”. Il perché tali narrazioni del mondo trovino facile accoglienza è presto detto: offrono una spiegazione semplice di una realtà complessa.

I promotori di questi racconti si presentano come i possessori di una Verità nascosta, celata, unica che solo loro hanno compreso, mentre il mondo circostante appare incatenato come i prigionieri della caverna di Platone. I detentori della Verità, per questo motivo, offrono a chi è disposto a seguirli una nuova prospettiva sulle cose, che rivelerà ai seguaci l’inganno a cui sono sempre stati sottoposti: non è un caso che in ambito complottistico sia diffusa la metafora della “pillola rossa” di Matrix. Le teorie del complotto assomigliano molto fra di loro dal punto di vista dei modelli narrativi. Ciascuna storia riporta un “eroe” (l’utente della rete) che parte per un’“avventura” alla ricerca della verità nella quale dovrà sconfiggere un “nemico” ben definito.

Proprio la definizione del nemico, ossia dell’“altro”, fisico e ideologico, è il nucleo di ciascuna teoria complottistica. I cosiddetti “poteri forti” divengono la causa di tutti i problemi del mondo, specialmente dei propri problemi personali. In questo modo, i complottisti elaborano una visione manicheista che assolve tre compiti principali. Il primo è quello, come abbiamo già detto all’inizio, di spiegare, in maniera semplicistica, la realtà complessa degli eventi che circondano gli individui. Queste narrazioni, inoltre, permettono alle persone di “deresponsabilizzarsi” in quanto la fonte dei propri mali non verrà più imputata, in nessun caso, a sé stessi bensì al miliardario di turno, per esempio a Soros. Il secondo è quello di creare un’idea di comunità.  Gli individui che maggiormente aderiscono a queste teorie, come illustra il Guardian, sono persone generalmente di bassa autostima, con un network sociale molto ristretto e marginalizzate dalla società.

Tali individui riescono a trovare principalmente nei forum di internet qualche gruppo di cui sentirsi parte. Infine, l’ultimo compito è quello di legittimazione. Quando le teorie, uscendo dalla rete, diventano ideologia e acquisiscono una certa organizzazione, allora una visione manicheista è in grado di giustificare certi attentati in difesa di una data comunità di persone. I perpetratori di tali azioni verranno considerati come martiri. Su questo punto ci offrono un chiaro esempio il movimento della supremazia bianca, di cui Vice ha scritto un ottimo articolo, e i radicalismi religiosi.

Esistono, certamente, teorie del complotto abbastanza innocue, come quelle attorno alla morte del cantante Paul McCartney, e teorie che, invece, possono provocare gravi danni alla società (consideriamo in questo caso i No-vax).

Quest’ultime devono essere adeguatamente affrontate: infatti, un approccio eccessivamente tecnocratico tende ad irrigidire la posizione dei complottisti. Per riuscire a comunicare meglio con questi individui, dovremmo prendere nota del fatto che in un mondo dove l’individuo si sente sempre più smarrito, dove i grandi eventi mondiali sembrano ingurgitarlo, le teorie complottistiche hanno un effetto consolatorio che offre un certo grado di stabilità.

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