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Le dimissioni del Papa? Novità solo per la tradizione

Il gesto del Papa ha un solido fondamento giuridico. Da un lato poggia nel codice di diritto canonico, rinnovato nel 1983, e dall’altro su di una disposizione del papa Paolo VI per i vescovi diocesani, invitandoli a dimettersi dall’ufficio compiuti i 75 anni d’età. Nello stesso senso, la riforma del Conclave escludeva i cardinali ultraottuagenari dall’elezione del vescovo di Roma, che per norma costituzionale della Chiesa assume il governo della Chiesa universale (vale a dire che il vescovo di Roma è papa e non viceversa, come potrebbe sembrare).

Coerentemente con questi principi di diritto, l’attuale pontefice, ingravescentemen aetatem, ha deciso di uniformarsi all’idea di lasciare il governo della Chiesa di Roma e di quello connesso della Chiesa universale. La novità, per tanto, è solo sul piano della prassi e della tradizione. Così com’è caduta la tradizione degli ultimi secoli di un papa italiano viene a cadere quella dell’irrinunciabilità del pontificato. Nuova è l’idea di postergare la data d’inizio della rinuncia, forse motivata dall’esigenza di dare uno spazio di tempo sufficiente per organizzare il Conclave; o, forse, ma è un’illazione, perché il precipitare di qualche evento grave e non noto ha consigliato un anticipo, quando ancora non era neppure pronta l’abitazione in cui ritirarsi per il resto della vita terrena.

La rinuncia provoca l’automatica decadenza di tutte le cariche di governo della S. Sede e quindi l’azzeramento dello staff del pontefice rinunziante. Circostanza questa che indubbiamente è stata valutata. Quindi il pontefice subentrante ha larga possibilità d’impostare un indirizzo di governo nuovo.

Non è ipotizzabile una diretta influenza del papa rinunciante sul Conclave e l’elezione del nuovo pontefice, sia perché non presente al Conclave, come annunciato espressamente; sia perché il mantenimento della dignità cardinalizia non comporta quella dell’elettorato attivo oltre l’ottantesimo anno d’età. Rimane comunque che un gran numero di cardinali sono stati nominati proprio dal papa tuttora regnate. Ma più che indirizzare verso una persona, le nuove nomine sembrano segnare un riequilibrio all’interno del Sacro Collegio. Ogni pronostico ha, per tanto, un alto tasso di aleatorietà.

Certamente con la rinuncia non si perde l’ordinazione episcopale: così come avviene per i vescovi diocesani, che conservano l’ordinazione e il titolo di emeriti della diocesi. In tal senso, il papa rinunciante rimarrebbe vescovo emerito della Diocesi di Roma e possibilmente pontefice emerito della Chiesa romana; dove per emerito s’intende un semplice titolo sfornito di qualsiasi potere di governo effettivo e quindi solo onorifico. Non è possibile trarre spunto dal passato, dove dei primi papi rinuncianti si sa ben poco, risalendo ai primi secoli della Chiesa, Celestino V (alla fine del XIII sec.) è stato imprigionato dal successore e il più vicino nel tempo (XV sec.), Clemente VIII, partecipò al Conclave per eleggere il successore. Sempre per analogia, sembrerebbe ipotizzabile la conservazione dell’appellativo di Santità (i sovrani spodestati si continua a chiamarli Maestà) e, ovviamente, dell’abito bianco, del resto usato anche dai sacerdoti nelle terre di missione.

Quanto alla residenza, l’alternativa sarebbe potuta essere quella di un ritiro in una terra di missione lontana o in un territorio vaticano, vicino alla possibilità di usufruire delle biblioteche adatte per lo studio e l’approfondimento teologico. C’è da supporre che, per un riguardo verso il successore, il rinunciante si asterrà da pubbliche dichiarazioni e forse anche dalla pubblicazione (in vita) di opere, sia pure con carattere scientifico, che siano in qualche modo riconducibili alla nuova linea di governo. Ma tutto ciò dipenderà dalla sensibilità e personalità del rinunciate e, forse, in futuro, di quanti altri potrebbero seguire il suo esempio. C’è da pensare, infatti, che non si tratta di un episodio isolato ma di una nuova pagina del papato.

Foto: Il Fatto Quotidiano (Flickr)

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A proposito dell'autore

Professore Ordinario di Diritto Ecclesiastico e Canonico presso l'Università degli Studi di Palermo.